frecciamia  

Dal volume "IL TEMPO E LA MEMORIA"

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 Qui mi sento di casa

 

1

Una stagione dopo l’altra, andando e venendo, le rondini che solcano i cieli non lasciano tracce. Ogni vita non dura che un soffio. Questa notte ho sognato di essere una farfalla, stamattina mi sono svegliato col profumo del caffè che mia moglie preparava in cucina. Appoggiando la testa al muro già tiepido che sovrasta una panca, assaporo il fragore del silenzio. Tra pampini arrossati e il fiorame del viburnum, ascolto il racconto dei campi. È vano cercare di lasciare orme durature del proprio passaggio sulla terra, se non con la sapienza, l’arte e l’amore. Cielo azzurro, il verso ripetuto di un cuculo, lo stropiccio delle foglie. Canta un’allodola tra le forre del brolo, la sua melodia tanto somiglia alla voce suadente di un vecchio saggio che istruisce i suoi discepoli con l’esempio e con gli insegnamenti dei filosofi più rinomati, a iniziare dagli antichi greci cui sono riconducibili le prime affermazioni nella “filosofia umanistica rinascimentale”, che pone l’uomo al centro dell’universo cercando e teoriz-zando una corrispondenza tra uomo e natura, tra microcosmo e macrocosmo5: “L’uomo non è né angelo né bestia, e la sua posizione nel mondo è un punto mediano fra questi due estremi; ma è la volontà che ci consente di scegliere da che parte stare. Resta nondimeno che egli è la più dignitosa fra tutte le creature, anche più degli angeli, poiché può scegliere che creatura essere”. Socchiudendo 95 gli occhi, ho la percezione che la nostra vita scorre come la nuvoletta bianca che intravedo in lontananza, di cui nessuno può sapere da dove viene, né dove va. Nel pentagramma della mia meditazione mattutina, s’introduce la nota più bella: il sorriso dei miei nipotini che scorrazzano nel cortile. La vista dei fiori in giardino e i profumi delle pietanze che giungono dal tinello, mi fanno stare magnificamente! 96

2

La luna nuova al suo primo quarto sembra una gondola salpata da ponente e diretta verso il sole calante per caricare filamenti di nembi rossastri, dorati, viola. Nella casualità di un sentiero, m’infilo per un’aspra radura che è tutto un intrico di rami e di sassi ma in compenso è così prossima al cielo. Visto da quassù, ogni tramonto ha un aspetto diverso: a volte dolce e splendente, come un quadro di pittore manierista; a volte aspro e cupo, come un volto di fanciullo corrucciato. Per non dire di quando pare che emani effluvi profumati; oppure è grigio e insipido, come una primizia d’anguria raccolta anzitempo. In basso, si vede la piana traboccante da tutti i lati: colata di verde smeraldo che investe un gruppo di rocce antropomorfe e le rive animate di un immoto specchio d’acqua. Mediante lo sguardo nutro l’anima di colori; percorrendo misteriosi sentieri rivedo tutto il mio passato e provo una struggente nostalgia. Segue frattanto il mio pensiero errante la scia di un uccello che remiga verso chissà quale meta. Un piagnucoloso flauto penetra la solitudine e la sublime bellezza del paesaggio, vaghi ed esitanti versi di selvaggina fluttuano nell’aria. Un ultimo barlume di sole sui monti distanti e le tenui striature di luce vermiglia a levante stasera riflettono le ansie del mio cuore in attesa di tempi che abbiano il sapore di una volta. Sogni lucenti che si conformano coi mutevoli segni così evidenti nella piana e nell’immenso del cielo in fermento che è tutto un canto ed incanto.

3

Chissà da quanto tempo quest’aspro picco è rimasto senza tracce d’uomo! Strane forme di nubi vagano lentamente nell’aria, dirette verso l’orizzonte. Qui mi sento di casa e non desidero proprio nulla che già non abbia. Sul pendio roccioso, giallorosse esplosioni d’erbe in fiore trapuntano l’ocra delle crete che si tuffano nei pantani sonnacchiosi percorsi qui e là da qualche germano reale. Il bacio del sole al tramonto mi svuota d’ogni volontà; una distesa d’acqua in lontananza d’un tratto si mette a scintillare. Come vorrei che uno dei rondoni in alto saettanti mi portasse tra quelle acquatiche creature e le rive laccate di verde dell’attraente laghetto! Con animo quieto ammiro gli ultimi fremiti di luce che arrossano il borgo, dominato da una vanitosa torre che sovrasta il castello federiciano, teatro di mille leggende e di chissà quante mute vicende lì consumatesi. A poco a poco, lascio svaporare ogni pensiero. La testolina di una biscia fa capolino da un buco scavato nella roccia, il mio cane butta giù una catasta di legna per snidare un coniglio. Ombre lunghe e interrotte di casolari abbandonati, canti tremuli d’uccelli infrascati. Ora posso levarmi il largo cappello di paglia. Così spoglio di sole, il cielo sembra privo del suo solito fascino. Com’è dolce la vista del borgo fiocamente illuminato dai rari lampioni, mentre a lunghi passi intraprendo la strada del ritorno verso casa, tra filari di possenti e frondosi aceri pennellati di giallo. 98