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 frecciamia 

Dal volume "IL RITORNO"

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E' l'amore più forte di tutto

 Dal capitolo VI

Ogni tanto Ludovico si fermava, come a cercare di definire meglio i suoi ragionamenti. Sedendosi su un muretto di pietra a secco guardò il paese che ancora sonnecchiava. Vide una coppia di ricci che attraversavano la strada. Fissò il sole che sorgeva a levante, il chiarore che esso spargeva sui tetti e nei vicoli faceva impallidire la luce fioca dei rari lampioni ancora accesi. Dalle voci che gli giunsero, s’immaginò le scene di vita che animavano le case al risveglio. Sentì nostalgia. E di nuovo un moto di rancore traboccò dal suo cuore ferito nei riguardi di quelli che l’avevano ingannato: «Ah, giuro che vi odio proprio tutti», egli bisbigliò approfittando che nessuno potesse sentirlo.

In un angolo vicino alla bottega del maniscalco già all’opera, egli riuscì a sentire nitidamente le voci concitate dei contadini che aspettavano di ferrare i propri cavalli: chissà che cosa avevano da disputare. Nel dedalo di strade che si stendevano sotto di lui, in cui un giorno tutto era iniziato, indovinò dove fosse quella sala da barba dove il destino cinico e baro l’aveva fatto incontrare con Rodolfo.

«Ah, giuro che ti smaschererò davanti a tutti, uomo vile e abietto. Ancora mi chiedo come hai potuto tradirmi», di nuovo si abbandonò a uno sfogo incontenibile che gli diede sollievo.

In lontananza vide gli alti campanili che sovrastavano le case cubiche a più piani. La cima del Duomo si stagliava nel cielo percorso dalla luna ormai sbiadita; la strada di basalto luccicante, che vide dall’alto del quartiere, era quella che costeggiava la Chiesa di S. Stefano; la Commenda dei Cavalieri di Malta troneggiava come sempre, apparendogli ancora più suggestiva sotto i raggi del sole mattutino.

Nonostante fosse pieno autunno, soffiava un tiepido alito di vento: ecco il suo paese, ecco l’affastellarsi di mille ricordi che Ludovico non voleva andassero perduti. Anche per questo era ritornato.

Il suo viso tirato ebbe bisogno di rilassarsi e la sua gola secca gli richiese qualcosa da bere affinché la sua voce suonasse squillante e amichevole. Doveva mostrarsi sereno e pacifico, se voleva che il suo piano avesse qualche possibilità di riuscita. Guai a destare qualche sospetto! Allora s’infilò nell’unico bar aperto e chiese un cappuccino e una brioche, l’atmosfera che lì dentro respirò lo fece distrarre. Era quello che ci voleva.

Finalmente fu alle porte del paese, con l’intenzione di imboccare la via che portava alla casa di Rodolfo. Inoltrandosi sempre più nel labirinto dello storico quartiere che un tempo era stato un borgo agricolo, giunse nei pressi della piccola fortezza del suo ex socio, che sorgeva a ridosso delle ultime case da cui si poteva facilmente scappare per darsi alla macchia in caso di necessità.

[…]Nel tardo pomeriggio dell’indomani Ludovico lasciò il rifugio e s’incamminò per una scorciatoia in direzione del paese, diretto finalmente verso casa.

Rassicurato da Rodolfo, che aveva accettato la proposta di patteggiamento, non vedeva l’ora d’incontrare i suoi genitori: non era più il caso che temesse qualche colpo basso. Quanti ricordi si susseguirono nella sua mente rivedendo quei luoghi tanto amati da cui era stato lontano per tre anni. I cortili brulicavano di bambini e di pollame. Egli sbuffò per la fatica e per l’emozione. I suoi occhi si abbassavano se incrociava qualcuno, non voleva far sapere che fosse tornato, almeno fino a quando non chiariva col boss.

Arrivato in Piazza Cascino, si fermò qualche attimo alla stazione dei pullman, ricordò la sera in cui aveva deciso di fuggire, fu da lì che era partito alla volta di Catania, dove poi prese l’Espresso per Milano.

Allorché fu nel cuore del suo quartiere, gli passò per la testa che anche la via in cui era nato e cresciuto, fosse contenta di rivederlo; ormai a pochi passi da casa, notò che il giardino sul retro era più trascurato. Si accorse all’istante che non c’era più il capanno sotto il quale aveva trovato ristoro nei giorni di afa. Vide altresì che dentro non c’era anima viva, era tutto buio. Strano, Alberto ed Erminia non erano abituati ad andare a letto così presto, che voleva dire tutto questo? Forse erano a trascorrere la serata da compare Bernardo?

Bussò più volte ma nessuno gli rispose. Non voleva chiedere notizie ai vicini e decise di aspettare: alla fine dovevano pur tornare, suo padre e sua madre.

Sentì che il cuore gli galoppava in petto e la sua mente ritornò a un lieto passato, quello dell’infanzia e della prima giovinezza: le riunioni con i parenti nei giorni di festa, le allegre scampagnate, i giochi in strada, i primi batticuori per le ragazze.

Com’era affollato allora il patio di casa Rodriguez, uomini, donne e frotte di bambini che mangiavano, cantavano e danzavano con gioia, grati che il Signore concedesse loro tutte queste benedizioni.

Ripensò a quello che gli ripeteva suo nonno, quand’era ancora lucido: “Impara a schiudere le porte del tuo cuore, pianta in esso semi di gioia, di pace e di comprensione per i bisogni e il dolore degli altri”.

Ludovico provò un soffio di felicità fin nei recessi più profondi dell’anima, paragonabile all’euforia che aveva percepito la prima volta che una ragazza da lui corteggiata gli aveva detto «t’amo anch’io!».

“Chissà come staranno adesso i miei genitori, chissà che faccia faranno vedendomi!” egli si chiese perplesso. Ma non ebbe tempo di darsi una risposta perché dalla casa attigua lo raggiunsero raffiche di voci gioviali, come di chi è riunito a tavola e oltre che godere per il buon cibo, sta ridendo per un motto di spirito proposto dai più loquaci che sempre in una compagnia ci sono.

Stanco di aspettare, si sedette sul dondolo di vimini sotto il portico e ben presto si assopì avendo negli ultimi giorni dormito poco e male.

Fu così che Alberto ed Erminia lo trovarono quando entrarono dal giardino, con le braccia conserte e il capo reclinato in avanti.

Grande fu la loro meraviglia ed entrambi esplosero in un grido di felicità. Le lacrime sgorgarono copiose dagli occhi di Erminia, che fu la prima a cingerlo in un abbraccio commovente. Toccò ad Alberto fare la stessa cosa, mentre accarezzandolo come se fosse un bambino, gli ripeteva: «Figlio mio, non ti lascerò più andare da qui. Con tutte le mie forze troverò il modo di aiutarti».

Quando infine la famiglia al completo entrò in casa, Ludovico osservò che a parte la disposizione dei mobili, non era mutato niente. Tutto era lindo e pulito. La sua stanza, in particolare, era come l’aveva lasciata il giorno della fuga: lo stesso copriletto, gli stessi libri sulla scrivania, gli stessi poster appesi al muro, lo stesso capezzale. La foto di Donata ancora in bella evidenza sul comò.

Contento di questo, guardandosi allo specchio, scorse nei suoi occhi la speranza che le cose tornassero come prima. Nonostante l’immenso dolore provocatogli, i suoi lo accolsero come “il figliol prodigo”. Il profumo di lavanda aleggiava come sempre in ogni angolo della casa, dove Erminia spargeva sacchetti di cotone colmi di fiori di lavanda essiccati. Entrando in cucina Ludovico restò colpito dalla vista dei raggi obliqui della luna che illuminavano il pavimento. Posò lo zaino e allargando le braccia cinse in un’unica stretta sia Alberto sia Erminia; poi, baciandogli le mani, disse loro: «Grazie per la vostra accoglienza. Avevate ragione quando mi consigliavate di evitare le cattive amicizie. Ho trovato un accordo con Rodolfo e vi prometto che cambierò. Per fortuna ho ripreso in mano la mia coscienza, dopo aver sofferto e fatto soffrire per i miei errori. Se ancora Donata è disposta, metteremo su famiglia e io mi troverò un lavoro, resterò accanto a voi e se avrete bisogno di me ci sarò sempre».

[…]Suo padre e sua madre sembravano pendere dalle sue labbra. Trascorsero alcuni minuti nel silenzio. Ludovico si sentì attratto da un quadro appeso in soggiorno: in esso si vedevano una via stretta e impervia e un’altra larga e piana, che spiccavano dalle falde di una città verso l’alto di una montagna. Una fila interminabile di uomini e donne, in atteggiamento sguaiato, percorreva la via larga e piana che portava tra le fiamme dell’inferno; mentre pochi, in atteggiamento composto e sereno, andavano per la via stretta e impervia che portava in Paradiso.          

Ludovico restò impressionato dalla forza espressiva di quella pittura, da cui non riusciva più a distogliere lo sguardo. In quel momento egli temette per il destino della sua anima. Paventò che Iddio potesse non accettare il suo pentimento.

Di nuovo egli sentì il bisogno di parlare.

«Quando sono fuggito, Rodolfo si è impadronito di tutti i beni della società. Mi hanno detto che egli si è arricchito. Oggi ho visto con i miei occhi che al solo pronunciare il suo nome nel quartiere tremano tutti».

«Ma tu non guardare alla sua ricchezza, persegui la tua strada, desidera per te una vita proba e onesta e il Signore te la concederà. È irrealizzabile solo ciò che non ci interessa fino in fondo conquistare...» lo esortò accorato Alberto.

Erminia, interrompendo il marito, di nuovo volle intervenire, ispirata dalle parole declamate spesso dalla santa donna di sua madre che le aveva apprese in tempo di quaresima durante gli esercizi spirituali tenuti da un frate francescano venuto da Assisi: “Sebbene talvolta un raggio divino tocchi il cuore di un uomo con insistenza, egli difficilmente lo riconosce perché non sa bene ciò che veramente vuole, avvolto com’è nelle sue tristi passioni che lo allontanano dalla verità e da ciò che realmente più desidera”.

«Figlio mio, amare Dio vuol dire abbracciare la propria vita ed esser pronto a cambiarla se ti accorgi che essa ti allontana da Lui. Raccogli la luce che Egli ti ha mandato e presta attenzione a ciò che ti chiede di fare».

La luna non era ancora tramontata e l’ultimo suo pallido chiarore entrava nella stanza, dove Ludovico e i suoi genitori erano raccolti in intimità. Li avrebbe attesi una notte di gioia incontenibile ma anche di amarezza. Nel dormiveglia ognuno dei tre avrebbe ripercorso l’ultimo difficile periodo della propria esistenza ed elevato preghiere al Signore, chiedendogli la grazia di poter trascorrere i giorni a venire nella salute e nell’amore. Forse la vita è più forte del peccato e della morte; ma è l’amore più forte di tutto!