frecciamia  

Dal volume "SOTTO I CIELI BLU DEGLI EREI"

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 Come in un sogno

 

Molto, molto tempo fa, in un villaggio degli Ereimeridionali, dalla cui sommità si poteva lanciare lo sguardo fino al celeste mare di Gela, viveva un vecchio contadino con i suoi due figli: un maschio e una femmina.

Quando egli sentì che le forze lo stavano abbandonando li riunì e, stringendoli a sé, disse loro: <<Oltre al buon nome della nostra famiglia vi lascio tutto quel che possiedo: il podere sul fiume, la dimora con il giardino e la fedele Yvonne, allegra amicona di mille passeggiate in campagna.

Dividetevi l’eredità senza litigare, affinché nessuno abbia da ridire sul vostro conto quando io non ci sarò più>>. E di lì a qualche ora spirò senza alcun rimpianto, avendo ben vissuto la sua vita.

Dopo i primi giorni di dolore e smarrimento, Corrado propose alla sorella: <<Mia cara Agnese, l’alloggio e il podere ti aiuteranno a trascorrere un’esistenza dignitosa a fianco dell’uomo che si mostrerà degno d’averti in moglie. Riguardo a me, scelgo la capretta con la quale voglio andare in giro per il mondo. Tra mille sacrifici ho completato gli studi di grammatica, latino e filosofia e non certo per fare il precettore in qualche sperduto seminario fra i monti, poiché il mio sogno più grande è sempre stato quello di viaggiare. Chissà che alla fine non riuscirò ad avere fortuna anch’io, com’è successo a tanti andati via in cerca di cose nuove! Solo allora – te lo prometto! – farò ritorno a casa, per continuare a godere del tuo affetto e delle tue premure>>.

Non appena finì di parlare mise mano al fagotto, abbracciò la sorella e, al giungere dell’alba, si allontanò sommessamente per non rinnovare lo strazio del penoso addio.

Tra strani scarti e bonacce prolungate passò il tempo, passò in modo non uguale. Una stagione si alternò all’altra: caldo e freddo, neve e vento, sole e pioggia, ma la condizione di Corrado non cambiò di molto rispetto al giorno in cui era partito, allorché si barcamenava tra mille stenti.

Se talora, mosso dal bisogno di stare in solitudine sembrava a suo agio pure nel guscio più selvaggio della natura, lontano dagli uomini e dalla civiltà, in realtà il desiderio e il piacere di stare con gli altri erano saldamente radicati in lui. Il suo sguardo acuto indagava qualunque cosa gli si presentasse, gradevole o meno. Durante il cammino aveva modo di riflettere mettendo in rapporto gli avvenimenti fra loro. Egli aveva lo spirito di un artista, pertanto la sua vita era sì più varia ma anche più difficile, specialmente quando incontrava gente immersa fino al collo in situazioni di perversione, volgarità, dissolutezza, abominio.

Soffriva per l’apparente non-senso dell’esistenza, che in certe circostanze lo faceva dubitare della natura spirituale dell’uomo, tendenzialmente portato a raccogliere i “fiori del male”.

Dovendo pur campare, si guadagnava in qualche modo l’indispensabile rendendo piccoli servigi a pastori, artigiani, contadini e mercanti, bisognosi d’aiuto materiale. E meno male che Yvonne si procurava il cibo da sola, fornendogli tanto buon latte e un po’ di calore!

Nei momenti di maggiore scoramento, per non incupirsi troppo, Corrado ripensava a ciò che suo padre con la saggezza dei semplici gli ripeteva sempre: “Tutto ciò che incontriamo è la nostra vita, per questo non serve prendersela con la sfortuna. Nel bene e nel male una cosa s’invera solo se un uomo crea le cause perché ciò avvenga. Noi siamo quello che vogliamo essere, ed è proprio la voglia di realizzare un sogno che contribuisce a rendere i nostri giorni più belli!”.

Ricordi di insegnamenti come questi, anche se a volte sbiaditi, da un lato gli facevano provare nostalgia per il suo passato, dall’altro gli davano un senso di sollievo. Dalle mani del caso accettava ogni giorno quello che gli era offerto, ma per quanto non fosse molto, gli bastava ugualmente: perciò volgendo gli occhi al cielo ringraziava e di nuovo tornava a sorridere spensierato.

Il mondo sembrava non avere fine e lui non si stancava mai di viaggiare, sempre pronto a percorrere strade poco battute di cui ignorava le insidie. In fondo, non aveva che da trovare qualcosa da mangiare e un giaciglio per la notte, libero di andare in cerca del tesoro ineguagliabile dell’esperienza, libero di gustare intensamente quello che gli capitava di vivere. Spesso aveva le tasche vuote ma in compenso era sicuro di farcela, qualunque fosse la situazione in cui si trovava coinvolto. Del resto aveva scelto lui di essere un avventuriero, proprio come i protagonisti delle favole che sua madre gli leggeva da bambino prima di addormentarsi.

Fra un viaggio e l’altro, temprato dalla fatica e dai pericoli scampati, il ragazzo che Corrado era, allorché iniziò la sua nuova vita, divenne un giovane forte e coraggioso. Conobbe molte usanze e bizzarri costumi, imparò coloriti dialetti e s’imbatté in molteplici donne, nessuna in realtà vicina all’ideale femminile che i suoi occhi e il suo cuore cominciavano a vagheggiare.

Era soddisfatto del suo modo di essere, gli bastava girovagare e stare bene per sentirsi felice. Quando si annoiava a esplorare le campagne, poteva spostarsi al mare, poco lontano dalla Sicilia interna. Quando anche del mare si fosse annoiato, sarebbe partito per conoscere borghi e paesi dell’Etna, andando incontro a nuove occasioni per inebriarsi di vino buono e di allegre serate.

In particolar modo gli piaceva dimorare in riva ai fiumi e ai laghi, numerosi nelle vallate degli Erei. Di questo territorio conosceva come le sue tasche i posti degli antichi miti: da quello di Cerere e Proserpina a Pergusa, a quello di Ercole e Iolao ad Agira. Del Crisa, che tra anse tortuose e gole profonde si snodava dalle vette più gelide fino alla pianura assolata del Simeto, sapeva individuare a occhi chiusi i guadi migliori per attraversarlo. Proprio nel Crisa, così chiamato dal nome del dio che presiedeva alle acque, riusciva a pescare lucci e grosse carpe, che a volte barattava nelle locande con un letto comodo o un pasto caldo, quando non gli andava di dormire o di mangiare all’aperto.

Ogni giorno il mondo era lì davanti a lui sotto infinite forme, ma mai l’orizzonte aveva assunto l’aspetto di quella sera, sull’onda di incessanti trasformazioni. Corrado non si stancava di guardare quando, d’improvviso, notò che l’ultima apparizione di ghiacciai splendenti si disfece d’un tratto per lasciare posto a un altissimo castello.

Scrutando ancora più intensamente, si accorse che ai piedi del maniero palmeti e splendidi giardini si stendevano a perdita d’occhio. Poi una nebbia sottile ricoprì ogni cosa, mentre il cielo assumeva la sua forma abituale.

Era stato chissà quale accidente atmosferico o si era trattato di un segnale dai significati arcani, quello cui aveva assistito estasiato? Egli non sapeva decidersi, benché in cuor suo presentisse che qualcosa di straordinario stava per succedergli. 

Talvolta le cose mutano nel volger di un batter d’ali e, ancor prima che ce ne rendiamo conto, ci troviamo immersi in situazioni – belle o brutte – che mai avremmo immaginato potessero accaderci! Nella sua imprevedibilità la vita coinvolge tutti, ma solo chi è disposto a vivere i cambiamenti accettandoli così come si presentano, non ne teme le conseguenze.

Quando la visione cessò del tutto e, a poco a poco, risalì dal suo stupore, Corrado si accorse di essere seduto sulla cinta muraria di una necropoli ricavata dai Sicani in cima al poggio solitario.

Da lassù erano ben visibili i ruderi sparsi dell’insediamento di quelle popolazioni primitive, avvezze a costruire i loro villaggi vicino ai cimiteri nella convinzione che i defunti vegliassero sulla comunità per proteggerla.

Nonostante l’interesse per il luogo, il curioso vagabondo non poteva indugiare oltre per cercare di decifrarne le affascinanti tracce o per contemplarne le distese di grano che si scorgevano a vista d’occhio. Data l’ora tarda era indispensabile che trovasse una taverna dove cenare…