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Dal volume "DI QUEST'ANTICA TERRA"

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 Un tesoro d'arte impareggiabile

 

[…] Cosa sarebbe la nostra vita senza l’arte? Nei secoli l’espressione artistica ha sempre mutato le sue forme basandosi sul medesimo fondamento: superare l’accidentale, indagare il segreto dell’esistenza. Davanti a un’opera d’arte, ogni tempo può diventare tempo presente!

Ma è schiudendo gioiosamente “ognun dei sensi” che la Villa del Casale può apparire un grande libro da sfogliare, una lezione di stile a cielo aperto, un documento prezioso e inestimabile, unico nel suo genere. Nulla è più intelligibile dello sguardo premuroso di un’ancella, dell’allegra espressione di un fanciullo che gioca, del gaudio di un auriga vincitore, delineati con minute tessere di marmo sapientemente accostate. Perciò bisognerebbe essere grati a coloro che hanno concepito forme come queste, capaci di dispensare un piacere ineffabilmente sottile.

Scrive Nagib Mahfuz, il più grande cantore egiziano del Novecento: “Destino dell’uomo è essere scordato e del cuore venire trasformato”. Ogni uomo corre senza sosta e si tramuta; cerca, gioisce, si dispera e infine si dissolve, mentre le immagini create dagli artisti rimangono per sempre le stesse. 

Chissà quando le anonime maestranze concepirono questa magnifica dimora, creando tra le pieghe di un’ubertosa valle un ordine così armonioso. E dove, viene anche da chiedersi, cercare l’eco delle domande che nelle sue stanze risuonarono affidando al cuore e all’intelligenza la ricerca dei tanti perché della vita, del nascere e del morire sulla terra per andare dove, per andare verso? Comunque sia, il senso di tutto quel che esiste è il suo essere presente in un determinato momento della storia.

Certamente quegli uomini e quelle donne non vennero dal nulla, e dunque non possono essere tornati nel nulla. Per citare il grande Ovidio, che analizzò una vasta gamma di emozioni umane con vera maestria narrativa, Omnia mutantur, nihil interit, tutto si trasforma, nulla perisce; uno spirito imperituro passa di volta in volta nei corpi così fragili e imperfetti, assumendo forme sempre nuove, perché cuncta fluunt, omnisque vagans formatur imago, tutto scorre, e ogni fenomeno ha forme errabonde. Dunque, in qualche luogo saranno costoro, magari tra noi, in altre sembianze, perché nella circolarità dell’esistenza tutto ritorna.

Per chi sa vedere le cose in modo inusuale, ricordando che le prospettive possibili sono tante e che non è giusto, né saggio, né utile rinserrare la propria visione entro limiti rigidi e concezioni cristallizzate, in ogni cantuccio di questa Villa vi sono segni disposti a raccontare, raccontare di quest’antica terra com’era tempo fa!

Puntando la mente pare quasi d’origliare fioche voci che provengono dalle sale, dai cortili: “Chiedono della domina… dicono di uscire tra i boschi… d’intrecciare una ghirlanda per l’amata…di versare libagioni per i Lari”. Intensa splende la nostalgia dei trapassati per questo mondo; in attimi duraturi, sbocciano i fiori profumati del loro rimembrare: delle passioni, dell’odio, ma anche delle forze positive: dell’amore, dei sentimenti, della pietas che provarono vivendo. Un bisbiglio lamentevole sembra ancora percorrere la piana in lungo e in largo: “Per volontà dei Numi lasciammo tutto ciò che Madre terra nutre e allieta.” 

A volte, nel silenzio del tramonto o nel fulgore di un mattino di maggio dai viali alberati baciati dalla luce iridescente, oltre che sentire, sembra anche di scorgere i personaggi che questo luogo animarono.

E se la fantasia regge l’insolita esperienza, si può credere che vogliano comunicarci i momenti di quiete che sperimentarono vivendo in un angolo sicuro di mondo, aspro e dolce allo stesso tempo. Prigionieri ormai di quest’arcadia privata, sono qui come ad attendere uno sguardo amico che li consideri; celandosi parzialmente in una sorta di aura dorata, forse vogliono testimoniarci la loro verità! 

Per quanto appaiono in un’identità difficile da decifrare, ugualmente potranno essere letti i temi fondamentali della loro esistenza, i loro sogni e le loro speranze; ancor di più da chi nutre la voglia di sapere, facendo leva sulla sensibilità e sulla delicatezza d’animo che distinguono un vero viaggiatore dal semplice turista che ha lasciato altrove gli “occhi della mente”.

Ma è soprattutto trovando nel proprio intimo il piacere sottile di decifrare gli elementi di questa vita, sostanzialmente identica in ogni epoca, che si riesce a intravedere l’Umano ovunque, a maggior ragione, quindi, nelle opere d’arte stimate di grande valore unanimemente.

In direzione sud, la Villa s’apre su maggesi e uliveti percorsi dal frinire monotono delle cicale. Nelle ore più silenziose, si riesce a sentire il fruscio del fiume Gela che guizza fra canne e sassi. Dopo l’inebriante appagamento al cospetto della monumentale architettura tutelata dall’Unesco, ora è il tempo di cogliere linee, colori e suoni del paesaggio.

Merli, usignoli e cinciallegre trascinano l’eco del rapimento estetico per la valle, invogliando a continuare il viaggio fino alla vicina statio Philosophiana ben protetta dai monti Naone e Manganello. Quest’altro suggestivo insediamento, che era il centro della pars fructuaria del grande latifondo, è disposta su una lunga spianata leggermente inclinata da settentrione a mezzogiorno.

Sulla parte più alta di essa, su una fascia di una decina di ettari, appare con evidenza l’estensione dell’antico abitato circondato dalle zone sepolcrali. Il luogo è letteralmente disseminato di sorgenti, che rendono la terra particolarmente fertile. Sui declivi la vegetazione spontanea ha riconquistato i terrazzamenti, dove una volta nasceva il grano. La trasformazione economica, vissuta dalla Sicilia negli anni Sessanta, ha provocato lo spopolamento di aree come questa legate da tempo immemorabile a un’economia agricola, per cui della vita e delle attività del passato poco rimane.

Nella solitudine ventosa della zona, rotta ogni tanto dai rapidi voli di sparvieri, corvi, ghiandaie, si possono cogliere ignoti messaggi per altre e nuove emozioni che nascono dalla natura. In lontananza, si scorgono boschi dai colori cangianti, rupi scoscese, speroni di roccia, macchie di mentastro e di artemisia; caratteristici acanto e sambuchi, brevi pianure rigate da torrenti sinuosi, qualche ponte di pietra dalle belle arcate. E inoltre: ordinati vigneti, verdeggianti riviere punteggiate di ciclamini, vigorosi castagni, secolari querce, olmi e robinie, mimose e tigli che  costituiscono altrettanti elementi d’un suggestivo reticolo paesistico, mutevole solo in apparenza per ritornare uguale come sempre a ogni stagione.

In un posto così “pure le ninfe sono di casa, / e certe notti di luna / si possono anche incontrare: / tra folle confuse d’alberi ed uccelli. / L’anima, allora, attonita / tosto si scioglie in canto di gioia”.

Il mondo è una continua fantasmagoria, e nella stupenda cornice di un panorama alla maniera di quello che circonda la Villa del Casale, a cavallo tra natura e storia, sembra che ogni pietra, ogni colonna, ogni arbusto, ogni fiore e filo d’erba, ci suggeriscano la possibilità di gettare uno sguardo sul passato, durante cui si sono consumate infinite vicende di uomini e di popoli nell’affannosa ricerca di uscire dalla transitorietà dell’esistenza. Ma le immagini riflesse di ogni cosa, anche di quelle provenienti dall’antichità più remota, nelle nostre anime hanno una profonda, insolita realtà, solo se siamo aperti al piacere della conoscenza e se, ancor più, lo vogliamo veramente...