UN VIAGGIO SFAVILLANTE

Nostalgia per le cose
irrimediabilmente perdute

alberello

 

Recensione

Da tempo immemorabile, ci sono sempre stati uomini e donne che hanno sentito il bisogno di comunicare il proprio senso della vita. Per farlo, nel corso dei millenni, quanti modi sono stati ideati, ma di certo, la scrittura è fra le attività espressive più congeniali per raggiungere tale scopo. I libri, infatti, hanno almeno un aspetto peculiare che altri tipi di creazioni non hanno: possono andare facilmente fra le mani di quanti nelle storie raccontate riescono a intravedere “significativi brani della loro esistenza e trovare riprova dei loro desideri più intimi, delle loro emozioni, dei loro sogni”.

   Non si scrive dunque solo per sé stessi, si scrive per tramandare costumi, per descrivere la mentalità che ha attraversato un’epoca, per custodire memorie, per esortare a pensare, per entrare in relazione con i propri lettori. Come scrive Alessandra Tigano, Ordinaria di Filosofia e Storia dell’Università di Catania, nel suo saggio “La narrazione come viaggio di formazione”, “il lettore diventa compagno di strada dello stesso sentire del narratore”, specialmente se egli è disponibile ad ascoltare le opinioni altrui non con mera passività ricettiva ed è desideroso di realizzare un’efficace contaminazione del proprio universo di valori al fine di allargare i propri orizzonti mentali.  

In ogni caso “un bel libro deve fondare un dialogo silenzioso con chi lo legge, sensibilizzandone la coscienza, edificandone lo spirito, accendendone la fantasia. Ma sta all’autore avere la capacità di prendere delicatamente per mano i propri lettori regalando loro qualche ora di svago e di dolce ristoro e, perché no, fargli da guida e da sprone per rintracciare la recondita vocazione che essi si portano scolpita dentro”. È questa una delle risposte che Pino Bevilacqua ha dato a Ettore Minniti, giornalista di Tele Pegaso che lo ha intervistato sull’argomento, in una puntata di “più libri più liberi”.

Pino Bevilacqua vive e lavora a Piazza Armerina. Autore di cinque libri di poesia, “Convito di ninfe”, “Erba e pietre”, “Fra cielo e mare”, “Ad un passo dalla luna” e “Stagioni”, nel 2008 ha pubblicato “Di quest’antica terra”, un saggio trascinante nel quale sentimento e immaginazione si fondono strettamente con la storia di Piazza raccontata con brio e linguaggio elegante, come sostiene in prefazione il giornalista e scrittore Matteo Collura. Del 2014 è invece “Sotto i cieli blu degli Erei” mentre il romanzo “Il Ritorno”, corredato da una bella postfazione di Gino Ruozzi, Professore di Letteratura Italiana dell’Università di Bologna, è stato pubblicato nel 2018. “Di tanti sospirati sogni” è l’ultimo dei suoi lavori, fresco di stampa ma non ancora presentato, in attesa che riprendano le normali attività culturali ferme a causa della sciagurata pandemia.          

Considerata nel suo insieme, la “Trilogia” D’altri tempi quando si presenta come un viaggio sfavillante, sulle ali della fantasia, nell’intrigante mondo della Sicilia di metà Novecento, magistralmente descritto mediante una scrittura essenziale e cristallina. Una danza intrigante di volti e di storie che si insinuano durevolmente nell’animo di chi affronta la lettura con una forte motivazione a indagare sul passato: descrizioni di paesaggi ormai trapassati, di vite apparentemente inconciliabili coi nostri tempi contraddistinti da una diffusa ignoranza spirituale e dominati da una tecnologia cinica e disumanizzante.

Ma indipendentemente dal tempo e dallo spazio, non è forse vero che gli uomini e le donne di ogni epoca hanno sempre avuto in comune, nella pura essenza dei sentimenti, nella sfera intima quotidiana, le stesse identiche azioni, le stesse identiche problematiche?

Sotto i cieli blu degli Erei”, primo libro della “Trilogia”, è una raccolta di dodici racconti, arricchiti da splendide raffigurazioni artistiche del pittore Angelo Scroppo. In questa opera Pino Bevilacqua offre una minuziosa descrizione di una Sicilia che ormai vive solo nel ricordo di chi adesso ha una certa età. A fare da leit motiv in quasi tutti i racconti è la nostalgia, che finisce col divenire una fedele amica in un percorso formativo scandito di tappa in tappa: una tappa per ogni racconto. Ogni racconto è una meta, ogni racconto racchiude nelle sue pagine un itinerario che il lettore deve compiere per potere dare vita al suo personale viaggio interiore finalizzato alla scoperta di se stesso. I protagonisti del libro “Sotto i cieli blu degli Erei” ben rappresentano sentimenti e valori legati alla tradizione siciliana, fra cui, più di altri valori, spiccano quelli della famiglia e dell’amore.

L’autore descrive così bene quel legame indissolubile che lega ogni siciliano alla sua terra, al punto che si riesce a percepire facilmente il senso di “appartenenza alla Sicilia e alla sua realtà storico-umana, documentata da pagine e pagine di considerazioni puntuali e pertinenti al tema”. Da qui la possibilità di creare una memoria condivisa, almeno con quei lettori più coinvolti e interessati.

La contrada di Leano – terra dell’infanzia dello scrittore e suo luogo dell’anima – è il topos da cui tutto ha inizio. Il viaggio comincia dall’epopea della conquista Normanna della Sicilia e dal Regno fondato dal conte Ruggero, per concludersi con una trattazione sulla lacerata condizione dell’Isola post bellica degli anni ‘50 del Novecento, allorché il problema della ricostruzione sociale, morale ed economica della propria terra è stato affrontato brillantemente dalla comunità siciliana.

Ogni racconto presenta diversi personaggi, ciascuno dei quali trasmette e insegna qualcosa al lettore. Dalla pura realizzazione di un sogno al coraggio di abbracciare serenamente il proprio destino, dalla ricerca della felicità alla gioia delle piccole cose, dalla lotta di classe alla rivendicazione della piena libertà, dalla critica alla società borghese, corrotta ed egoista, alla descrizione dell’amore in ogni sua forma: da quella più comune e semplice a quella più profonda, di assoluto dono di sé agli altri. Bisogna saperli leggere questi racconti, con la stessa pazienza e meraviglia di quando si parte verso un luogo che non si conosce, per poterli gustare appieno!

Pino Bevilacqua – più o meno consapevole – regala ai suoi lettori come una “mappa” per comprendere meglio il mondo che ci è dato di vivere. Dopo la lettura dei vari racconti, si percepisce l’idea che tutti gli uomini, a prescindere dall’epoca e dal luogo in cui si trovano, vivono indistintamente le stesse emozioni.

Un esempio per tutti? Nel racconto “Com’è stato dolce quel bacio” ambientato negli anni ‘60 in una cornice urbana ormai tramontata, così lontana dal mondo attuale sfregiato dalla globalizzazione e dal consumismo, egli richiama l’esperienza indimenticabile del primo bacio d’amore, che ogni uomo e ogni donna custodisce gelosamente nel profondo del proprio cuore. È l’universalità delle azioni umane, di cui Pino Bevilacqua argomenta di continuo tra le mille e più pagine della “Trilogia”.

In questo viaggio dunque, esperite tutte e dodici le tappe, venuti a conoscenza di svariate realtà, ed entrando nella personale visione del mondo dell’autore, si avverte la sensazione di aver concluso un lungo cammino, di avere raggiunto una meta, pronti a iniziare il percorso del ritorno ma arricchiti di un bagaglio di conoscenze utili a farci attraversare l’esistenza con più brio e maggiore coraggio.

Il Romanzo “Il Ritorno”, secondo libro della “Trilogia” – anch’esso illustrato da Angelo Scroppo – ben si sposa con il filone della letteratura del ritorno, che è un tema fondamentale nella letteratura occidentale: dall’Odissea all’Iliade, dai Promessi Sposi al ‘Ntoni di Verga al Mattia Pascal di Pirandello.

Insomma è il “Nostos” che ognuno di noi deve compiere e che racchiude il significato dell’esperienza, dell’identità, della ricerca e della memoria. Un viaggio che può avere sì la rassicurante certezza di un sentiero già noto, della strada senza sorprese, di ciò che torna sempre, ma che altresì può nascondere le insidie di terre sconosciute e che può costringerci alla resa dei conti con un passato che trasforma il tempo perduto.    

Protagonista del romanzo è Ludovico, che vive a Piazza Armerina ed è il figlio adottivo di Alberto Rodriguez e della moglie Erminia. Egli trascorre una parte della sua giovinezza compiendo azioni delittuose in combutta con due amici suoi coetanei, Rodolfo e Alfonso. La paura di essere arrestato e l'infelicità per le scelte fatte lo spingono alla fuga, trasferendosi in una città del Nord Italia.

Trascorrono gli anni ma nella mente di Ludovico è sempre presente il legame che lo tiene stretto alla sua terra, dove ha lasciato i suoi affetti più cari, tra cui la donna amata. Perciò decide di ritornare a Piazza per ricominciare una nuova vita, consapevole che per poter raggiungere il suo obiettivo deve chiudere con il passato: un passato gravido di questioni irrisolte e complicate che lo portano a scelte difficili per cercare di cambiare il suo destino.

Il ritorno di Ludovico Rodriguez non è solo e soltanto un percorso fisico ma soprattutto un travaglio interiore e un tentativo, forse riuscito, di ricerca spirituale. Un viaggio ciclico nella mente e nelle emozioni del protagonista, le cui infinite introspezioni sono originali e di grande spessore psicologico.

Alla fine Ludovico ritrova sé stesso, ripercorrendo le tappe della sua vita. Con la memoria egli ritorna nei luoghi della sua infanzia riappropriandosi dei ricordi del passato. Aiutato da ‘fra Antonio, suo padre spirituale, la sua condizione di “errante” trova pace soltanto dopo un lungo peregrinare fra i meandri dei suoi errori, da cui riesce a sgrovigliarsi per insegnarci che è nella bellezza delle cose semplici che ritroviamo la felicità perduta… “c’è sempre un luogo dove poter ricominciare. E sempre c’è una persona con cui poter condividere la propria vita.”

Come in “Sotto i cieli blu degli Erei” e nel romanzo “Il Ritorno” anche nella terza raccolta di racconti, “Di tanti sospirati sogni” – illustrato con affascinanti disegni del pittore impressionista Luigi Previti – è vivo il legame con la terra natia: una terra che non è soltanto luogo fisico ma luogo della mente, descritta dall’autore così minuziosamente.

Ma non ci sono parole più adatte di quelle utilizzate da Fabiana Novello, docente di Lettere e Dirigente scolastico, nella sua bella postfazione, per sintetizzare il senso di quest’ultimo libro della “Trilogia”: “Tutto quello che vediamo, infine si dilegua. Nella sua essenza la natura non cambia, ma tutto si trasforma e mai nessuna cosa rimane la stessa. Solo l’arte può ambire a fissare in eterno un’emozione, un’impressione, un volto, un paesaggio, un oggetto; l’arte e la facoltà della memoria, anch’essa in grado di sottrarre la realtà che s’invera alla sua dissoluzione, rendendola per sempre viva pure se persa in una lontananza che non possiamo in alcun modo raggiungere. Proprio su questi temi vertono i racconti di Pino Bevilacqua, nei quali egli prova a reinventare paesaggi e personaggi appartenuti a un passato ormai svanito, da custodire gelosamente come uno scrigno di pietre preziose, procedendo secondo i moduli più tipici del Naturalismo e del Verismo di marca novecentesca ma col supporto di una visione moderna e unitaria della vita”.

Di tanti sospirati sogni è ambientato nel comprensorio di Piazza nel periodo che va dagli anni ’40 agli anni ‘60, per quanto le vicende narrate potrebbero benissimo essere successe in qualunque altra località che gravita nell’assolato Sud del Continente europeo che è “un universo variegato tutto da conoscere”.

Singolare è l’espediente per cui la narrazione è preceduta dalla finzione letteraria del ritrovamento di un manoscritto. Come negli altri due libri della “Trilogia”, anche qui il paesaggio è per l’autore un fantasmagorico e immenso teatro dove si svolgono le azioni umane, dove gli uomini sono contemporaneamente attori, perché agiscono, e spettatori, poiché subiscono inevitabilmente gli effetti delle loro azioni.

Lo scrittore diventa mediatore tra conoscenze e senso della memoria, ed è con un pizzico di civetteria che egli a volte manifesta la capacità di saper cogliere il senso che i paesaggi evocano. I luoghi descritti non sono soltanto lo scenario fermo in cui si svolge l’esistenza quotidiana, ma qualcosa che vive e muta nel tempo, con il trasformarsi ininterrotto delle cose, dei modi di produrre e di rapportarsi con il proprio territorio.

La descrizione del paesaggio evoca dunque il senso di appartenenza al luogo, sentimento questo determinato in prevalenza da fattori sociali. E tutto questo si deduce attraverso i significati simbolici ed affettivi che Pino Bevilacqua attribuisce ai topos principali che affiancano ogni esistenza. Un ruolo molto importante è rivestito dai ricordi e dalle esperienze associati ai luoghi narrati. Ma anche il tempo è un importante fattore per la costruzione del senso di appartenenza.

In conclusione, come già sottolineato, è la nostalgia per le cose irrimediabilmente perdute protagonista principale del libro. Ma non una nostalgia passiva che blocca l’anima, quanto piuttosto un desiderium produttivo e indispensabile che attraverso l’uso della memoria ci permette di costruire “strade” più solide.

 

Gaia Catalano
Studentessa di Lettere Moderne
Università degli Studi Kore di Enna
Progetto formativo e di orientamento