frecciamia 

Dal volume "DI TANTI SOSPIRATI SOGNI"

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Un mondo perfetto

Dal secondo racconto

 

Dopo aver camminato a lungo, Renato giunse sul versante più aspro della montagna, da dove si dominava l’intera vallata in tutta la sua bellezza e immensità. L’ultimo tratto del sentiero che gli restava da percorrere diventava sempre più scivoloso, ma valeva la pena avanzare ancora più in alto, per trovarsi di fronte al sole del pomeriggio che dalla vetta si riusciva quasi a cogliere con mano. Intanto che saliva, il freddo aumentava, perciò cercava di ripararsi dalle folate di maestrale alzandosi il bavero della giacca e rasentando le pareti rocciose. Una volta tornato a casa, lo accarezzava l’idea di una doccia calda sotto la quale frizionarsi il corpo col guanto di crine intriso di spuma al vetyver, il suo profumo preferito.

Quando fu a metà strada, posò lo zaino a terra, bevve un sorso d’acqua e fece una sosta per riposare. Poi, abbassando la visiera del berretto per ripararsi dalla luce abbagliante, lanciò lo sguardo in lontananza: il vecchio mulino e gli abbeveratoi, il frantoio e gli ovili da lassù gli parvero un susseguirsi di graziose miniature fra loro ben accostate, armoniose come le diverse parti di un disegno figurato in un bell’arazzo francese. Fra tanta grazia vide anche la sua casa, così piccola e bianca da ricordargli uno degli acquerelli che dipingeva da ragazzo. «Ormai sono a buon punto», bisbigliò con un filo di voce, «ma devo affrettarmi se voglio arrivarein tempo». Prima di riprendere il cammino, si girò di scatto e osservò fra le rocce un gruppetto di anemoni: nonostante la fatica che sentiva, per nulla al mondo avrebbe rinunciato a continuare  a sua marcia fino all’ultimo contrafforte accessibile.

Da quella prospettiva voleva contemplare la valle inondata dalla luce del tramonto, ansioso di rappresentarla come scorcio di un tòpos ideale, specchio fedele delle sue emozioni e dei suoi movimenti psichici più riposti. Per questo intendeva catturare colori e impressioni dal vivo, preoccupato di estrapolare forme e inediti chiaroscuri da riportare nel dipinto che aveva in mente di realizzare affinché vi trasparisse quel modo singolare di reinterpretare la realtà, che è proprio degli artisti capaci di guardare in profondità e catturare l’essenza di ogni cosa sotto lo stimolo di una religiosità intima, panica, indipendente dalla volontà. Da qualche mese, infatti, il suo scopo principale di pittore concretista era diventato quello di creare un’arte surreale, i cui oggetti fossero ben altro dalla semplice astrazione di oggetti già noti. Si domandava quanti tentativi doveva ancora fare, e quante ricerche, prima di acciuffare la sospirata meta espressiva che sperava di raggiungere.

Un groviglio di sentimenti, il suo povero cuore trepidante, che voleva regalare enfatizzanti sogni a chi nell’arte cerca un sogno di libertà o un approdo temporaneo nei momenti bui. Ormai prossimo ad arrivare e determinato a non demordere, si ricordò di quando aveva sacrificato il sonno mattutino per raffigurare la magia dell’alba. O delle volte in cui, per immortalare la fatica del lavoro dei campi, aveva condiviso con i contadini della contrada il caldo, il gelo e il vento. In quante circostanze, affacciandosi dal balcone del suo studio, era rimasto incantato da quel paesaggio che adesso, meta tanto agognata, si offriva ai suoi occhi nel silenzio di un bel pomeriggio autunnale.

Quando Renato apprese dal suo orologio da taschino che erano già le quattro, pensò bene di affrettarsi. Il freddo imprevisto e la fatica della scalata lo stavano provando duramente, debole come si sentiva per gli acciacchi che lo avevano costretto a letto per più giorni. Ma pur essendo stanco, non si arrese e anzi, spronato dalla volontà di riuscire, si convinse a marciare con più lena, tanto era desideroso di superare quell’incertezza che ultimamente gli aveva impedito di raggiungere i risultati artistici sperati. Fermatosi per allacciarsi una scarpa, gli parve di sentire il mormorio del fiume che attraversava la valle. No, non era possibile che da lì riuscisse a distinguerne il suono, da dove proveniva allora l’insolita musica? Credendo di individuare in alto la sorgente di quelle note sublimi, alzò prontamente la testa.

Accorgendosi tuttavia che tra l’ammasso di nubi non c’era nessun fiume, le sue labbra si distesero in un accenno di sorriso, prima di aprirsi per sussurrare: «Solo un gran visionario può ritenere che in cielo si riversino i fiumi come in terra». Ma vero o no che fosse, ebbe la sensazione che la sua anima si faceva sempre più grande, per accogliere quell’infinito visibile che lo circondava. Renato non aveva mai avuto un’idea così precisa riguardo alla vita e alla morte, alla natura, all’amore, alla sofferenza e alla bellezza; si trattava forse di uno di quei lampi di conoscenza intuitiva della realtà che, nella parabola di un uomo, si presentano così raramente?

Già altre volte aveva meditato sul fatto che il pur minimo particolare dell’esistenza fosse collegato a tutti gli altri in una catena infinita di rimandi, ma proprio hic et nunc comprese ancor più acutamente che l’universale e l’eterno si rispecchiano in ogni fenomeno, persino in quelli apparentemente più semplici e umili. Come rinvenendo da un sogno, ripensò ai gesti di quel pomeriggio. Per quanto non riuscisse a comprenderne la ragione, tutto quello che aveva fatto gli sembrò così pieno di significato. «E se fosse l’ultima occasione che ho per gioire di queste esperienze?» s’interrogò cambiando espressione. Poi cercò di scacciare quegli assurdi pensieri e, con un sentimento dolce e nostalgico allo stesso tempo, di quella passeggiata rivisse suoni e rumori, profumi, colori, voci e forme del mondo esterno, che durante l’escursione erano stati una cosa sola con la sua mente…